C’è un mondo parallelo, dove l’aria è ferma e niente si muove. La natura sonnolenta assume il ritmo rallentato degli individui che vi abitano, la cui vita è accordata su automatismi ripetitivi e bloccati. Il sole è una grande palla lontana che scalda ma non brucia. Non esiste la luna.
Il raggio d’azione di ciascun movimento è limitatissimo. Ci si muove fermi.
E’ Paternò.
A Paternò il mondo viaggia a una velocità minima e viaggia intorno ai paternesi che vedono la vita orbitare attorno a loro senza mai tuffarsi nel vortice. Perni fissi d'attrazione dell'altro, stanno lì e aspettano.
A Paternò non ci si sposta perché l’idea stessa dell’estensione spaziale non è contemplata.
I paternesi non sono stati progettati per comprendere l’idea dell’infinito e del movimento lungo e veloce nello spazio.
I paternesi sono accoglienti e generosi. Il loro mondo è lì e chiunque può farne parte ma solo per partecipare alla statica ammirazione dei loro paesaggi metafisici finti spogli e banali. Sciare abbandonate basse e ristrette alla cui vista non sanno rinunziare. I paternesi sorridono molto, sorridono ai loro tramonti spenti, sorridono dalle loro terrazze, sorridono ai loro alti monoliti. E i loro sorrisi rimangono a lungo appesi sui loro volti di marmo.
Il paternese non viaggia. Può vivere tutta una vita a ammirare il nulla seduto sulla sua sdraio di gomma e metallo, senza andare da nessuna parte. Forse intuisce che fuori c’è il mondo, ci sono altri paesi, capitali del divertimento e della cultura, metropoli tentacolari dove altri uomini vivono a ritmi più accelerati e spinti.
No. Il paternese viaggia fermo, fin dove la mente sa portarlo. Il paternese immagina poco. Non sente l’impulso di veder cosa ci sia fuori da quella stasi interiore che chiama vita. Lui è già vita, è completo così. Non gli serve altro. Non gli serve niente. Non gli serve l’amore. Non gli serve la paura. Non gli serve il rischio. Non gli serve il coraggio. Il paternese si basta perché il paternese si piace.
Ogni tanto, un pianeta solitario e triste, in moto perenne, alla ricerca di orbite eccitanti, si imbatte per errore nell’universo paternese e può essere magia. Conquistato dall’elegante lentezza, dalla forza della fermezza interiore, balla una danza indolente e rallentata, fuori dal tempo, fuori dalla vita. Poi si accorge di essere pur sempre un altro pianeta, ha bisogno della sua aria, del suo moto spinto, della sua energia e si rituffa nel vortice, nell’universo pericoloso e frenetico, nella vita. Deve seguire la sua orbita impazzita. Fermarsi equivarrebbe a morire. La missione che gli è stata assegnata ha un nome strano: felicità. Nessun abitante dell'universo sa bene cosa sia. Pare che un tempo fosse nutrimento per gli antichi abitanti ma forse è solo leggenda.
C’è un destino in ogni pianeta e ci sono pianeti il cui destino è sognare mondi perfetti che probabilmente non incontreranno mai. Sognare la vita.
Nella sua memoria rimarrà sempre quella danza ferma e surreale, quell’incontro magico al di là del tempo, in uno strano spazio immobile chiamato Paternò.
domenica, giugno 10, 2007
Iscriviti a:
Post (Atom)